Black Hole Cam: a Bologna due ricercatrici del team internazionale che ha realizzato la foto del secolo.

Black Hole Cam: a Bologna due ricercatrici del team internazionale che ha realizzato la foto del secolo.

News17/04/2019

 Elisabetta Liuzzo e Kazi Rygl  sono le due ricercatrici del nodo italiano dell'Alma Regional Centre, uno dei sette che compongono la rete europea che   fornisce supporto tecnico-scientifico agli utenti di Alma, e che è ospitato proprio presso la sede dell’Inaf di Bologna. Nel 2018 entrambe sono entrate a   far parte del progetto Bhc finanziato dall’Erccome partner del progetto EHT, e fanno a tutti gli effetti parte dell’Event Horizon Telescope Consortium, in   cui sono membri dei gruppi di lavoro che si occupano di calibrazione e imaging.

 «La calibrazione dei dati Eht è stata una grande sfida: i segnali astronomici sono deboli nella banda millimetrica, e distorti per effetto dell’atmosfera,   che varia molto velocemente a queste frequenze», sottolinea Liuzzo, che insieme a Rygl ha partecipato allo sviluppo di uno dei tre software usati per   la calibrazione dei dati Eht. Pur operando come un unico strumento che abbraccia il globo l’Eht, infatti, rimane una miscela di stazioni con design e   operazioni diverse. Questo ed altri fattori, insieme alle sfide associate alla Vlbi, hanno dato impulso allo sviluppo di tecniche specializzate di   elaborazione e calibrazione. «Tre diversi gruppi di ricerca, ognuno dei quali ha utilizzato un diverso software di calibrazione, hanno convalidato in   modo incrociato questi dati e hanno trovato risultati coerenti», specifica Rygl, aggiungendo che «è estremamente gratificante vedere come i dati   calibrati possano essere tradotti in fisica dei buchi neri».​

 

Pur operando come un unico strumento che abbraccia il globo l’Eht, infatti, rimane una miscela di stazioni con design e operazioni diverse. Questo ed altri fattori, insieme alle sfide associate alla Vlbi, hanno dato impulso allo sviluppo di tecniche specializzate di elaborazione e calibrazione. «Tre diversi gruppi di ricerca, ognuno dei quali ha utilizzato un diverso software di calibrazione, hanno convalidato in modo incrociato questi dati e hanno trovato risultati coerenti», specifica Rygl, aggiungendo che «è estremamente gratificante vedere come i dati calibrati possano essere tradotti in fisica dei buchi neri».

 

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