L'open innovation è di casa in Emilia-Romagna

L'open innovation è di casa in Emilia-Romagna

News12/07/2017

"Non tutte le persone più intelligenti lavorano in una sola azienda". Qualsiasi strategia di open innovation si sviluppa partendo da questa idea.

Tre casi, made in Emilia-Romagna diventano protagonisti di un articolo pubblicato su Nova 24 dal titolo "La via italiana all’open innovation".

Il primo caso è rappresentato da VisLab, azienda spin-off partecipata dall’Università di Parma, fondata e diretta dal professor Alberto Broggi. La tecnologia al centro di questa storia parte dai lavori di Broggi e del collega Massimo Bertozzi (co-fondatore, tutt’ora coinvolto nelle attività dell’azienda) che nel 1998 pubblicano un articolo di grande successo su Ieee. Nei trent’anni successivi i due, affiancati da un crescente gruppo di ricerca ma con poche risorse finanziarie, sviluppano soluzioni a supporto dei veicoli driverless. Nel 2015 si rende necessario un cambio di passo. Ormai i grandi player dell’Ict e dell’automotive si sono affacciati con enormi disponibilità di investimento alle tecnologie presidiate da VisLab: diventa necessario pensare a nuove alleanze per salvaguardare il vantaggio tecnologico accumulato. Su impulso del Rettore dell’Università di Parma Loris Borghi, nel 2015 si costituisce una task force – coordinata dal Professor Gino Gandolfi – per disegnare i contorni di un processo di trasferimento della tecnologia dall’università al mercato.

Il percorso si completa a fine giugno 2016 con la vendita di VisLab alla californiana Ambarella, leader mondiale per le tecnologie per la compressione delle immagini, per 30 milioni di euro e un piano di stock options per mantenere coinvolti i 38 ricercatori. Il trasferimento è di tecnologie ma non di cervelli, infatti dopo l’acquisizione, VisLab non si trasferisce nella Silicon Valley, ma dà vita a Parma al centro di eccellenza VisLab Ambarella. L’Università monetizza la sua partecipazione, ottiene cinque borse di Dottorato e instaura una nuova partnership industriale.

La seconda azienda trattata nell'articolo è Technogym, leader italiano per le attrezzature da sport indoor. Fondata da Nerio Alessandri nel 1983, l’azienda ha centrato la sua offerta su prodotti innovativi per l’industria del wellness. A un’impostazione prodotto-centrica è stato nel tempo preferito un modello di business caratterizzato da un’offerta che mette al centro soluzioni che integrano prodotti, servizi e contenuti sia per i centri wellness sia per le case degli sportivi. È proprio in questo passaggio a soluzione/piattaforma che si è palesata l’opportunità di complementare gli sforzi interni di ricerca e sviluppo con un processo di acquisizione di tecnologie e soluzioni esterne.
Oggi Technogym impiega 200 ricercatori (il 10% della sua forza-lavoro), ma ha anche incubato una ventina di startup, il cui contributo è andato a perfezionare l’offerta delle diverse proposte sviluppate internamente. Il risultato di scouting, collaborazioni e acquisizioni è stato duplice, da una parte una riduzione del time to market, e dall’altra un ampliamento del portafoglio tecnologico anche in ambiti tecnologici lontani dalla propria expertise, ma complementari ad essa.

Il terzo caso descriotto nell'articolo è riferito al lancio dei Legumotti Barilla, distribuiti in esclusiva da Esselunga da aprile 2017, che rappresenta il risultato di un percorso di co-sviluppo tra le due aziende. Una volta identificato il settore dei legumi e cereali come un ambito in forte crescita non adeguatamente presidiato, Barilla ed Esselunga hanno deciso di lavorare insieme con il Professore Matteo Vignoli di UniMoRe e di adottare la metodologia del Design Thinking, ideata dall’Università di Stanford. L’applicazione di questo approccio, già noto alla divisione ricerca e sviluppo della Barilla, in un contesto che coinvolge produttore e distributore e porta a realizzare un processo di testing e prototipizzazione che va oltre l’indagine di mercato tipica. Andando ad interagire con i consumatori nei punti vendita si riesce ad instaurare con essi un dialogo diretto che in modo empatico fa cogliere il bisogno e coinvolge direttamente l’utente nelle diverse fasi di co-progettazione. Il team congiunto ha progettato e testato circa 45 prototipi ed è arrivato a portare il prodotto sul mercato in solo un anno di sviluppo, di cui tre mesi di design thinking. Un approccio così “aperto” è esemplare per il largo consumo e funge da apripista per altre collaborazioni tra produttori e distributori.

Articolo tratto da Nova 24. Leggi l'articolo originale

Fonte: 
Nova 24