MAK-ER a Bologna: storia di nebbie, sfide creative e visioni di futuro

MAK-ER a Bologna: storia di nebbie, sfide creative e visioni di futuro

News31/05/2016

Barbara Busi di Aster, racconta su Che Futuro, la genesi della Rete Mak-ER

Tutto è iniziato in un pomeriggio autunnale, classicamente emiliano, con nebbia e umidità sopra i limiti del sopportabile. Era il 2014.

1. Flashback. In una stanza siedono il direttore di una società partecipata specializzata nelle politiche a supporto dell’innovazione, molto attento a quelle che vengono definite nuove tendenze (sempre pronto a lanciarsi in esperienze che altri riterrebbero troppo rischiose), un fablab manager, uno dei primi, con tante idee in testa (e qualche pregiudizio sul sistema istituzionale), infine io, “tecnico” della società di cui sopra, vittima di un senso di realismo sempre eccessivo e di una assenza totale di inclinazione creativa.

2. Che in quella stanza stia per succedere qualcosa è chiaro a tutti, ma esattamente cosa è forse solo abbozzato soltanto nella mente del fablab manager. Inizia il dialogo. A complicarlo lessici e priorità che, a prima vista, appaiono diversi, “disallineati”. Poi dalle parole e dai concetti come fablab, maker space, stampanti 3d, open source, patrimonio di alcuni ma non di tutti i presenti, cominciano ad emergere esigenze e visioni comuni.

3. Il dialogo diventa condivisione su temi pressanti: la necessità di rilanciare la capacità di innovazione del territorio e di far ripartire il suo sviluppo economico; la percezione che nuovi attori dell’innovazione siano entrati in gioco, l’esigenza di comprenderne le potenzialità, la convinzione ormai diffusa che all’innovazione non corrisponda solo tecnologia ma anche creatività e disponibilità alla contaminazione e poi, infine, l’idea che attraverso lavoro e occupazione non si generino solo profitti ma anche valore sociale per tutti.

4. Il clima cambia. Dalla condivisione si passa alla “fertilizzazione” dei reciproci terreni di ragionamento, base essenziale per la generazione di nuovi approcci e nuovi progetti.

5. Usciamo da quella stanza con una sola e chiara convinzione: i sistemi che rappresentiamo devono trovare nuove formule di collaborazione allargandosi e facendo rete con chi nel territorio sta cercando di innescare meccanismi analoghi.

6. Da lì prende il via la storia di Mak-ER – la Rete della Manifattura Digitale dell’Emilia-Romagna, patrocinata da Make in Italy e supportata tecnicamente da ASTER.

Su richiesta del fablab manager si decide di attivare una prima mappatura delle realtà che si identificano nei modelli del fablab e dei makerspace. Basta un post sul gruppo Facebook “Fabber in Italia” una chiamata informale a un momento di conoscenza e condivisione e qualche settimana dopo ci ritroviamo a confrontarci nuovamente. Questa volta non siamo più in tre, ma cinque volte di più.

 

MAK-ER: compito, svolgimento, start!

Il titolo del tema a questo punto è chiaro, bisogna partire con lo svolgimento. Tre le priorità che il gruppo, in nuce la rete futura, decide di darsi:

  • rendere questo momento di confronto un appuntamento fisso con l’obiettivo di scambiarsi informazioni su cosa in ogni territorio si fa e su come ci si sta organizzando, andando a rilevare competenze ed attrezzature già disponibili in ogni spazio attivo;
  • utilizzare la forza del gruppo per rafforzare la propria identità e capacità di comunicazione sul territorio e nel confronto con gli stakeholder che lo popolano, in particolare le istituzioni;
  • identificare ambiti potenziali di collaborazione per sviluppare progettualità comuni difficilmente scalabili dai singoli e per favorire, ma anche supportare, la nascita di nuovi fablab e makerspace sul territorio.

Quello che mi colpisce di più, quando ripenso a quella fase, è che a differenza di altri contesti cui sono più avvezza, in quelle riunioni non c’era bisogno di “settarsi” su definizioni unitarie, di perimetrare i rispettivi ruoli, di chiudere quello che si sta facendo in modelli o procedure.
Non che la forma non conti anzi, la nostra funzione è proprio quella di aiutare il gruppo a rafforzare la disponibilità all’incontro con attori e linguaggi differenti – ma di certo i contenuti sono più potenti e la loro capacità di propagazione supera le attese e le singole resistenze.

Fonte: 
Che Futuro